Intervista a Virginia Bramati: «L’amore è come una strada da percorrere»
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Vi siete mai chieste come sarebbe rivedere da adulte il vostro primo, grande amore? Magari dopo anni, quando le vostre vite sono ormai completamente separate?Virginia Bramati parte da questo, nel suo nuovo romanzo “E se fosse un segreto?” (edito Mondadori), e ci racconta la storia di Alessandra e Stefano. Medico di successo lui, appena eletta sindaco della cittadina lei: due persone di successo, adulte e piene di progetti, con due vite che non potrebbero essere più diverse. Eppure qualcosa in comune ce l’h’hanno: l’estate di tanti (forse troppi?) anni fa, durante la quale Alessandra e Stefano si sono conosciuti ed innamorati. Cos’è successo di così grave da farli separare? E soprattutto, riusciranno a ritrovarsi?Abbiamo incontrato l’autrice a Milano, e le abbiamo posto qualche domanda sull’amore, la famiglia e sulla lettura:

Ciao Virginia, grazie mille di averci concesso quest’intervista! Nel tuo ultimo libro si parla di tante cose, ma quella che salta subito agli occhi è l’amore. In particolare perché ci sono due tipi di amore: quello adolescenziale, e quello adulto. Quale tra i due senti più “tuo”, o in quale è finito di più della tua esperienza personale?

Non ci avevo mai pensato in questo modo, ma è vero. Per rispondere alla tua domanda, forse il secondo. Io il vero amore l’ho conosciuto a 26 anni, quindi più giovane di Alessandra però più vicina a lei come maturità e mentalità che non all’Alessandra di diciassette anni. A quell’età ti colpiscono se sono biondi, se hanno gli occhi azzurri, se sono cool; è dopo che c’è la maturità, e si apprezzano le altre cose. Quindi direi l’amore adulto, che in questo caso è un ritrovarsi ed è tutto fuorché immediato.

Un’idea di amore come strada da percorrere, quindi, più che come punto di arrivo?

Esattamente, con un’evoluzione continua del sentimento. Questo vale per Alessandra e Stefano, ma soprattutto vale per tutti nella vita vera.

Accantoniamo un secondo la storia d’amore, e invece parliamo di madri. Quello del rapporto tra madri e figli è il secondo tema principale del romanzo, e in particolare la madre di Alessandra (Mary Mantovani) è uno dei personaggi migliori del romanzo. Ce ne parli un po’?

Mary è la madre che nessuna di noi vorrebbe avere, o meglio che è divertentissimo da avere come madre di un’amica.

E’ però un personaggio molto attuale, perché se da un lato vedo nelle ragazza giovani la voglia di crescere in fretta, vedo anche nelle donne il desiderio spasmodico di tornare indietro, anche troppo. Tu ti identifichi in questo, o guardi al fenomeno con un po’ di divertimento?

Inizio dicendo che mia madre era completamente diversa da Mary. Era una donna molto aperta verso gli altri, ma molto legata all’ambiente cattolico. Moralmente ineccepibile. C’erano però le madri delle mie amiche, che mi attiravano molto, mi stavano simpatiche, e mi facevano ridere. Ora che la situazione è rovesciata e la madre sono io, ho due figli maschi e so benissimo che loro di me un po’ si vergognano. Credo ci sia dell’imbarazzo nel vedere la madre che fa cose “non da mamma”, per non parlare poi del fatto che sono maldestra e dico sempre la cosa sbagliata, quindi a volte sono davvero la Mary Mantovani della situazione.

Invece la madre di Stefano, Giuditta, è di tutt’altra pasta. Di sicuro le ragazze di adesso troveranno in entrambe o la loro madre, o il loro peggiore incubo.

Giuditta ha anche le sue ragioni, comunque. Diciamoci la verità, chi vorrebbe avere come consuocera Mary Mantovani? Giuditta è un’imprenditrice, è nobile, all’interno della società vertesse è quella che fa la differenza. Che cos’ha a che fare con la parrucchiera pettegola vestita di paillettes?

La narrativa italiana soprattutto nell’ambito d’amore, e ancora di più per quanto riguarda i giovani adulti, tende a faticare un po’ a emergere e a contrastare l’invasione americana. Tu come la vedi? Ci sono consigli che vorresti dare anche le giovani aspiranti autrici?

Penso che noi autrici italiane dobbiamo fare rete, e diventare Le Autrici Italiane. Solo così si può pensare di andare all’estero, non singolarmente, e di diventare una scuola italiana. Bisogna avere meno invidia, aprirsi agli altri, condividere l’esperienza.

Oltre che una scrittrice sei una mamma, e anche una lettrice. Com’è stata la tua educazione alla lettura, se ce n’è stata una, ed è diversa da quella dei tuoi figli oggi?

Nella mia famiglia si leggeva tantissimo di tutto, con l’eccezione della letteratura rosa. Ogni Natale e ogni compleanno arrivavano dei libri nuovi, sempre e comunque. I miei figli credo siano stati in parte rovinati dalla scuola, perché se per me la lettura è sempre stata un piacere, per loro è stata un’imposizione. Da parte mia non mi sento di forzarli: libri in casa ce ne sono, se li vogliono sono lì.

L’educazione alla lettura è anche questo, lasciare la libertà di scoprire.

Questo sicuramente. Io leggo molto, mio marito è anche lui un forte lettore.

Grazie davvero per quest’intervista, Virginia, e in bocca al lupo per il tuo romanzo!

Grazie a voi, è stato un piacere chiacchierare con voi di JustYou Magazine.